Chi scrive ha sempre vissuto con una certa amarezza il ban imposto a Huawei dal primo governo Trump. Tralasciamo le motivazioni politiche che hanno portato a una decisione del genere e, ancor di più, lasciamo da parte i preconcetti, perché qui si parla di un viaggio stampa in Cina organizzato da Huawei, e di tutto ciò che ha rappresentato per il sottoscritto.
Per chi lavora nei media, partecipare a un press tour non è una novità. C’è sempre l’azienda di turno pronta a mostrare con orgoglio i propri progetti, il quartier generale scintillante, la leadership in qualche mercato strategico. Lo vedete anche sui nostri canali social: fiere, eventi, inviti da parte dei brand. Ma lo diciamo chiaramente e lo ribadiamo, queste esperienze vengono sempre vissute con spirito critico. Nessuna ospitata può influenzare ciò che pensiamo o scriviamo. Ci muoviamo, osserviamo, poi ci fermiamo e tiriamo le somme. Libere, come sempre.
Questa premessa è necessaria perché quello che leggerete di seguito contiene opinioni forti e contrastanti, qualcuno potrebbe pensare al condizionamento. Ma vi assicuro che, per quanto possa sembrare esagerato, non basta scriverlo per rendere l’idea di ciò che si vede in Cina: Huawei lì è una superpotenza fuori scala.
Il viaggio è nato con un pretesto, quello di vedere in anteprima i nuovi dispositivi indossabili del brand, ma in realtà è stato molto di più. Per via dell’embargo non posso entrare nei dettagli tecnici, ma è facile intuire di cosa si tratti considerando i lanci imminenti. Indossato il nuovo dispositivo, sono stato sballottato a destra e sinistra tra le varie megalopoli di Huawei.
Huawei Health Lab: dove si allenano gli algoritmi
Ci sono luoghi che sembrano usciti da un film di fantascienza, eppure esistono davvero. Il Huawei Health Lab è uno di questi. Non si tratta soltanto di un laboratorio di ricerca: è un concentrato di tecnologia, visione e ambizione messo al servizio del benessere umano.
Al centro di tutto c’è il sistema HUAWEI TruSense, una piattaforma di nuova generazione per la percezione della salute sportiva. TruSense è un ecosistema di sensori, algoritmi e servizi capace di monitorare oltre 60 indicatori, coprendo i principali sistemi del corpo umano: cardiovascolare, muscolare, nervoso, respiratorio, endocrino e persino riproduttivo. Lo scopo non è più solo contare i passi, ma capire come stai, cosa ti fa bene e cosa invece ti sta stressando, offrendo consigli concreti e dati su cui lavorare.
Il laboratorio in cui mi hanno portato è enorme, un centro polifunzionale grande quanto una palestra olimpionica. Al suo interno si alternano ambienti di test altamente specializzati: c’è una piscina a flusso controllato per studiare l’efficacia del monitoraggio nel nuoto, una camera climatica in grado di simulare altitudini fino a 6000 metri, un campo da basket replicato in scala reale con 28 telecamere a infrarossi per l’analisi biomeccanica del movimento, un’intera area dedicata al tennis da tavolo ed addirittura una palestra attrezzata con tanti macchinari commerciali. Ogni sport, ogni gesto atletico, ogni condizione ambientale è replicata, analizzata, confrontata con standard medici certificati.






Si trova nel Dongguan: 4.680 metri quadrati, oltre 200 milioni di yuan investiti, più di 80 tipologie di test attivi. È un hub di ricerca che collabora con partner dell’ecosistema e che punta a diventare un punto di riferimento per l’intero settore.
Si può discutere su tutto, si può essere critici su design, software, scelte strategiche. Ma davanti a certe strutture, certe idee, certe applicazioni concrete, viene naturale fermarsi e riconoscere la forza e la solidità di un progetto portato avanti con metodo, visione e investimenti reali.
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Il Campus Huawei mi ha lasciato senza parole
Dopo il laboratorio, mi hanno portato al Campus Huawei di Songshan Lake. È lì che ho capito una cosa: non siamo preparati. Non lo siamo culturalmente, visivamente, mentalmente. Descrivere quel posto è difficile, quasi frustrante, perché nessuna foto e nessun elenco puntato rende giustizia a quello che si prova passeggiando tra le riproduzioni in scala 1:1 di città come Heidelberg, Bruges o Bologna, con treni che ti scorrono accanto nel verde, palazzi in pietra dai tetti spioventi e laghetti artificiali dove si specchiano facciate neorinascimentali.
Il campus è immenso (c’è un treno interno con più linee), oltre 1,2 milioni di metri quadrati, divisi in 12 villaggi tematici ispirati all’architettura europea. Ma più che la scala, è l’intenzione che colpisce. Non si tratta di decorazione o scenografia: Huawei ha voluto creare un ambiente dove si lavora (centro di ricerca e sviluppo), si vive, si studia e si respira. Ogni villaggio ha il suo stile, i suoi caffè, i suoi percorsi pedonali, i suoi uffici bassi pensati per essere raggiunti a piedi o con un trenino silenzioso che collega tutto in 8 minuti. Non è Disneyland. È un’idea precisa di qualità della vita, innestata in uno dei poli tecnologici più attivi della Cina.
E mentre camminavo tra una versione in miniatura di Parigi e quella che riproduce Oxford, la sensazione era straniante: sembrava troppo perfetto per essere vero, troppo pulito, troppo pensato. In Europa un luogo del genere lo chiameremmo “falso”, forse anche kitsch. Ma lì, in quel contesto, non c’è nulla di finto. Anzi, c’è una chiarezza d’intenti che noi, abituati al compromesso urbano, probabilmente non riusciremmo mai ad accettare.
È tutto “troppo”, e forse è proprio questo il punto: qui si gioca su scala diversa, con un investimento economico e culturale che non ha paragoni nel nostro modello occidentale. È la replica dell’Europa fatta in Cina, ma costruita con una coerenza e una determinazione che fanno riflettere.
Huawei in Cina è molto più di quanto si possa immaginare
È passato più di un mese da quel viaggio, eppure sento ancora di non averlo del tutto interiorizzato. Alcune immagini, alcune sensazioni mi tornano alla mente con forza, altre restano lì, sospese, come se non avessi avuto abbastanza tempo per afferrarle davvero. La verità è che certi luoghi, certe strutture, non si comprendono in pochi giorni, e il campus Huawei ne è l’esempio perfetto. È tutto così fuori scala rispetto a ciò a cui siamo abituati, che il rischio è quello di rimanere abbagliati. Ma si tratta di uno stupore che lascia anche disorientati, perché non esiste nulla di comparabile al di fuori della Cina.
Huawei in Cina è qualcosa che va oltre l’azienda, è un ecosistema. Il ban dei servizi Google avrebbe affossato qualsiasi brand. E invece Huawei è rimasta lì. È ancora lì. E continua a spingere, forte, convinta, come se il ban fosse stato solo un ostacolo da aggirare e non una condanna. Questo, al netto di qualsiasi giudizio politico o sociale, è un dato oggettivo che fa riflettere.
Nel mercato dei dispositivi indossabili, Huawei è chiaramente una delle protagoniste. Ma ciò che ho visto suggerisce che l’ambizione vada ben oltre. Si parla spesso di resilienza ma qui si parla di resistenza attiva, di capacità di reinventarsi, di investire, di costruire strutture enormi quando molti altri si sarebbero fermati.
La sensazione che mi porto dietro è duplice: da una parte la meraviglia, dall’altra il senso di incompletezza, come se ci fosse ancora molto altro da scoprire, da capire, da vedere. Perché quello che Huawei è in Cina, tecnologicamente e culturalmente, è molto più di quanto possiamo immaginare. E probabilmente anche molto più di quanto siamo pronti ad accettare.
Vedi Post Originale: https://www.tuttoandroid.net/speciale/editoriali/huawei-cina-campus-healt-lab-1094404/
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