Retro racing games da ricordare, Speciale

Oggi, con questa maledetta pandemia che ha bloccato tutto e tutti, possiamo sfidarci comodamente online. Si sono create così delle gare competitive alternative, anzi, esportive, in tutte le discipline. Dal calcio al basket ma anche il mondo dei motori si è dato da fare. Tanti, infatti, gli eventi che hanno coinvolto piloti reali e star del virtuale. Questo grazie ai vari Assetto Corsa Competizione, F1 2019, Nascar, MotoGp ed altri. Avendo, però, un’anima retro – anche perché a giugno chi vi scrive compirà 43 anni – vi parliamo di alcuni racing game, di corse, che hanno fatto la storia dei videogiochi. Non sono necessariamente i migliori ma sono quelli che vogliamo ricordare in questa rassegna. E saranno elencati in ordine cronologico. Giusto nominare gli amici di Pressracing visto che tale lista è in grandissima parte quella pubblicata dal noto portale con qualche piccola aggiunta che include anche racing non solo sportivi ma che comunque hanno scritto la storia in questo settore.

Detto questo, vi auguriamo una buona lettura di questo nostro racconto (spiccio ma non troppo) di quei retro racing games da ricordare.

WIPEOUT PER MAGNAVOX ODYSSEY

Non possiamo iniziare questa lista sui retro racing games con lui: Wipeout per Magnavox Odyssey. Da non confondere con il futuristico Wipeout che dal 1995 è fiore all’occhiello delle console PlayStation.
Il perché è presto detto: si tratta probabilmente il primo “videogioco” racing di sempre. Abbiamo scritto la parola videogioco tra virgolette non a caso: era un mix perché appariva un circuito sullo schermo e si guidavano tramite il controller della console Magnavox, nata nel lontanissimo 1972 (e tra due anni saranno nozze d’oro per questa “macchina”) ed arrivata in Italia tre anni dopo, un quadrato di luce che si doveva guidare attraverso il percorso su schermo.
Dal risultato ottenuto poi si passava ad un tabellone su tavolo e si spostava la propria pedina nella casella designata. Un mix tra gioco da tavolo e videogioco, altamente sperimentale ma decisamente affascinante. Il tempo era segnato da un quadrato di luce che attraversava lo schermo ed era tenuto dal giocatore che premeva un pulsante sul controller ogni volta che questo quadrato attraversava lo schermo. Le dinamiche le comprenderete meglio grazie al video pubblicato sul canale YouTube di OdysseyNow che condividiamo.

SPEEDWAY (O RACE)

Fa sempre parte della “preistoria” dei videogiochi. Speedway, o Race, era un po’ più evoluto dal punto di vista tecnico anche se aveva un gameplay decisamente più elementare di Wipeout. Sicuramente più semplificato ed adatto allo standard videoludico in quanto immediato. Gran cosa.
In Speedway (o Race) si guidava una monoposto con visuale dall’alto e due o tre colori su schermo. Obiettivo quello di evitare le altre vetture e realizzare il miglior punteggio. Il tutto spostandosi a destra ed a sinistra in un rettilineo infinito.
Da notare come fossero implementati gli impatti e fossero integrati gli effetti sonori per accelerazione, decelerazione ed incidenti. Questo titolo del 1978 faceva parte di una compilation che includeva anche Spin-Out, che citiamo immediatamente a seguire, e Cryptologic a firma di Philips per la sua console Videopac (in Europa) e per, appunto, l’Odyssey Magnavox (negli Usa).

SPIN-OUT

Il gioco faceva parte della stessa compilation per Philips Videopac ed Odyssey Magnavox del 1978 di cui abbiamo appena accennato. Spin-Out permetteva di correre su monoposto con visuale sempre dall’alto in un circuito e sfidare un amico.

TURBO

Tre anni dopo la tecnologia migliorò. Parecchio facendo sembrare miracolosi gli altri titoli che vennero pubblicati. SEGA uscì dal cilindro Turbo che nel 1981 invase le sale giochi di tutto il mondo per poi approdare nel 1983 anche nel mercato delle console di casa (ColecoVision ed IntelliVision). In Turbo si guidava una monoposto attraverso dei percorsi che andavano da un punto A ad un punto B cambiando ovviamente ambientazione ma anche condizioni meteorologiche ed ore diverse del giorno con differenti luci.
Le vetture ricordano quelle di F1 benché – come detto – non si pilotava in un circuito chiuso.

Per passare allo stage successivo il giocatore deve superare almeno 30 avversari. Già notevole l’intelligenza artificiale: con vetture facili da sorpassare ed altre che sfrecciano all’improvviso. Nel primo stage, il giocatore ha vite illimitate ma successivamente si hanno solo tre possibilità e si riceve un’auto successiva (fino ad un massimo di quattro) per ogni round completato. A complicare il tutto anche un’ambulanza che di tanto in tanto percorre la nostra strada segnalata dall’immancabile bandiera gialla.

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Tecnicamente gradevole e per l’epoca quasi sontuoso con tante ambientazioni, cittadine con palazzi ai lati della strada, ponti sul mare ed altro, o innevate con alberi a fare da contorno al percorso. E sempre per l’epoca era spettacolare visto che soprattutto gli ambienti urbani presentavano palazzoni ai lati.

C’erano anche i tunnel da attraversare e si doveva fare attenzione anche alle pozzanghere. E c’erano anche dei rudimentali saliscendi che complicavano ancor di più il compito del giocatore dando anche un senso di realismo mai raggiunto, per ovvi motivi, prima. Visuale in terza persona dall’alto con sprite delle monoposto molto piccoli ma già più definiti rispetto al passato. Una vera e propria pietra miliare dei retro racing games arcade.

POLE POSITION I & II

È il 1982, un anno intensissimo anche per la Formula 1 con i lutti di Villenevue a Zolder in Belgio e Paletti in Canada ed il successo finale del finlandese Keke Rosberg, padre di Nico che nel 2016 lo avrebbe imitato. In sala giochi esce un titolo destinato a scrivere la storia non solo dei racing games ma anche dei videogiochi in generale. Parliamo di Pole Position, sviluppato da Namco e pubblicato anche da Atari.

Fu un successo clamoroso. Fu un vero e proprio balzo in avanti dal punto di vista tecnico grazie ad una grafica concreta con prospettiva in “terza persona”. Questa consentiva di visualizzare la monoposto da dietro e guidarla attraverso il circuito del Fuji. E, un dato tecnico da non sottovalutare, le monoposto erano molto più grandi rispetto a quelle di altri titoli concorrenti.

Il gameplay si divideva in due fasi: un giro di qualifica da completare entro il tempo limite, pena il game over, e poi il gran premio vero e proprio. Qui si dovevano affrontare, sempre entro il tempo limite, le altre vetture guidate dall’intelligenza artificiale ma anche fare attenzione agli ostacoli: pozzanghere e macchie d’olio che favorivano l’uscita di pista.

In sala giochi questo titolo disponeva di volante, acceleratore, freno e due marce ed era possibile effettuare il controsterzo. Gli incidenti causavano perdite di tempo nonostante le catastrofiche e spettacolari – per l’epoca, esplosioni della monoposto.

L’anno dopo venne proposto Pole Position II che aggiungeva alcune migliorie grafiche, ancora più nitida e fluida, nonché la presenza di altri tre circuiti (Suzuka, Seaside ed una, chiamata Test, identica all’ovale di Indianapolis). Da notare come il game designer dei due Pole Position, fosse Toru Iwatani, il papà di Pac-Man. Gioco poi riproposto anche nel recente passato pure su dispositivi mobile. Non poteva assolutamente mancare nella storia dei retro racing games visto che ne rappresenta un pilastro.

PIT STOP I & II

La copertina di Pit Stop su C64 con il tipico stile artistico dei titoli Epyx dell’epoca (Fonte: Wikipedia)

Anno 1983 ed Epyx, software house americana che di li a poco sarebbe diventata famosa a livello mondiale grazie ai suoi titoli sportivi multi-evento su Olimpiadi estive ed invernali ed altri titoli che scrissero un’epoca come World Games e California Games (per non parlare di titoli di altro genere, Mission Impossible I e II) lanciò Pitstop. Il gioco uscì per Commodore 64 e ColecoVision.

Anche in questo caso gli sviluppatori sfruttarono la visuale in terza persona da dietro con strada che si vede in prospettiva verso l’altro. Il gameplay permetteva libertà nei movimenti e contemplava unicamente il cambio automatico. Gli impatti con il bordo pista e con le vetture guidate dall’intelligenza artificiale comportano solo un rallentamento.

Ma, grande novità e sintomo di progresso nell’intelligenza artificiale chiamata a gestire altri parametri inediti fino a quel momento, c’era l’usura delle gomme. E gli impatti aumentavano la velocità di questo processo. Si doveva far caso anche al carburante che era limitato. Ragion per cui, la sosta ai box – che si poteva effettuare sempre prima del traguardo – era di vitale importanza per vincere o ottenere risultati interessanti. Se scoppia una gomma o termina il carburante si materializza il temuto game over.

Andando ai box il giocatore guidava un team di quattro tecnici composti dall’addetto al carburante, due al cambio gomme e l’ultimo che dà la segnalazione per la ripartenza. E c’era anche una mini-mappa che aiutava ad orientarsi nel circuito. In termini di contenuti c’erano sei piste con gare che andavano dai tre ai nove giri. Inoltre si poteva decidere se correre su una pista, o un mini campionato di tre piste a caso o tutto il “campionato” ottenendo punteggio cumulativo basato sui risultati e sul numero di giri conclusi.

Nel sequel, uscito l’anno dopo (1984), ed intitolato quasi ovviamente Pit Stop II, la novità più grande fu l’introduzione del multigiocatore. Due utenti potevano sfidarsi in contemporanea con lo schermo condiviso orizzontalmente. Anche in modalità single player esisteva questa divisione ma nel riguardo in basso veniva mostrata una monoposto controllata dalla CPU.  Tecnicamente inoltre, il gioco era decisamente più bello da vedere. Questo sequel venne pubblicato anche per Apple II, Atari 800 e Pc. Insomma, una pietra miliare che merita un posto nella storia dei retro racing games.

BUGGY BOY

Tatsumi in sala giochi nel 1985 ed Elite per le conversioni per il mercato casalingo, pubblicarono uno dei racing più divertenti di sempre: Buggy Boy. In questo titolo si guida un buggy attraverso diversi circuiti tra cui un tracciato chiuso da percorrere 4 volte ma anche altri a tappe chiamati semplicemente Nord, Sud, Est, Ovest di difficoltà crescente.

Peculiarità è il gameplay folle per l’epoca che invitava il giocatore a raccogliere delle bandierine ma anche di evitare ostacoli naturali e artificiali come burroni o steccati. Si possono sfruttare alcuni elementi ambientali per manovre spettacolari come i tronchi d’albero che si possono sfruttare per saltare ed evitare ostacoli. O delle pietre piccole che ci fanno guidare in bilico su un lato. In questa posizione, e qui c’è una finezza dell’intelligenza artificiale, il tronco d’albero utilizzato normalmente, come abbiamo accennato, per saltare, diventa un ostacolo.

È chiaramente una corsa a tempo con relativi bonus ai vai checkpoint in base al crono effettuato. Più veloci si è, più bonus si hanno.

Grafica coloratissima e dettagliata sia in sala sia anche per la versione C64 che fu una delle più riuscite per gli home computer. Un must dei retro racing games.

OTU RUN

Non è un titolo prettamente sportivo, ma Out Run non può mancare in uno speciale che parla di racing game. Nel settembre del 1986, SEGA e Yu Suzuki lasciarono i videogiocatori di sasso facendoli innamorare di Out Run.

Al volante di una Ferrari Testarossa Spider, gli appassionati dovevano guidare attraverso un percorso ad albero (altra innovazione) lungo tracciati fittizi ma estremamente evocativi. Una corsa contro il tempo e contro gli imprevisti di un traffico normale e soprattutto di percorsi sempre più difficili.

Percorso ad albero dicevamo: per arrivare ad ognuno dei cinque traguardi finali si superano cinque stage ma alla fine di ognuno di essi c’è un bivio che porta ad altri stage. Le ramificazioni sono globalmente 15 stage e per vederli e percorrerli tutti bisogna finire il titolo 5 volte andando ovviamente in bivi diversi. Se si scelgono tutte le diramazioni a sinistra si finisce nel circuito A che è il più facile. Tutti a destra il percorso E, alternando i bivi gli altri si finiscono gli altri percorsi (B, C, D).

Ma si è accompagnati da una grafica dettagliata e memorabile e da una altrettanto memorabile colonna sonora con brani entrati nell’epica, prima ancora che nella storia, dei videogiochi. Il compositore  Hiroshi Kawaguchi sfornò “Splash Wave”, “Magical Sound Shower”, “Passing Breeze” e la malinconica “Last Wave”.

Tantissimi i sequel, Turbo OutRun il più memorabile per arrivare ai primi anni 2000 con OutRun 2 per Xbox ed OutRun 2006 per Pc davvero splendidi e degni successori di questo immenso capolavoro che è possibile anche giocare nelle sale Arcade virtuali di Yakuza ed in Fist of the North Star. Ma ovviamente fa parte anche della raccolta di classici per Switch.

CONTINENTAL CIRCUS

Facciamo qualche passo in avanti ed andiamo al 1987, Taito realizzò Continental Circus. Peculiarità del gioco era quella di guidare la Lotus 99T motorizzata Honda guidata in quella stagione dall’accoppiata formata da Ayrton Senna e Satoru Nakajima. Per motivi di leggi sul copyright i famosi marchi presenti erano volutamente storpiati. Ma anche riconoscibili.

Il gameplay faceva fare il giro di otto tracciati reali mentre erano tre le cose fondamentali da tenere conto: il numero di sorpassi, il tempo limite e l’integrità della vettura. Spieghiamo il perché: ad ogni gran premio l’obiettivo minimo era quello di raggiungere una posizione minima.

Partendo dalla centesima posizione nel primo GP in Brasile, si doveva arrivare almeno in ottantesima posizione in quel gran premio. Poi sessantesimo nel secondo e così via, fino ad arrivare all’ultima corsa tentando di arrivare in prima posizione. Il tempo a nostra disposizione: ogni pista è suddivisa in settori con un tempo limite, più veloci si va, più tempo extra abbiamo a disposizione. Gli impatti in pista erano sempre in agguato e possono causare anche dei problemi di incendio o alle gomme. Fare una sosta ai box diventava fondamentale per evitare ulteriori perdite di tempo.

Splendido il lavoro grafico di Taito. In quel 1987 il gioco appariva spettacolare, quasi un cartone animato dove le monoposto, con visuale simile a quella di Pole Position, erano senza dubbio più definite, più colorate e davano un senso di velocità maggiore. I saliscendi di alcuni tracciati erano più “morbidi” ma anche gli effetti come quelli delle scintille del retro di ogni monoposto erano di gran livello. Non c’era ancora il 3d ma era stata fatta un’opera artistica di gran livello.

Buono anche il sonoro che oltre ad effetti ad hoc ben ricreati aveva alcuni brevi motivi molto orecchiabili. Ed è memorabile la frase di introduzione ad ogni gran premio: “Gentlemen, start your engines! 30 seconds before the start” presa dall’omonimo documentario francese del 1972 sul motorsport. Con tanti dettagli e tanti particolari uniti ad un gameplay di buon livello, Continental Circus si ricorda con piacere. Si ricordano le conversioni per Amiga ed altri computer a 16 bit di discreto livello.

GRAND PRIX CIRCUIT

Accolade, nello stesso anno, pubblicò Grand Prix Circuit. Incentrato sulla Formula 1, il gioco permetteva di scegliere fra tre monoposto: Ferrari (F1/87/88C), Williams (Judd FW12) e McLaren (Honda MP4/4). Le vetture avevano una scheda che le ritraeva di profilo e segnalava i punti forti.

La McLaren era la più veloce delle tre ma più complicata da gestire. La rossa del Cavallino Rampante era la più lenta ma di contro era più facile da portare. La britannica Williams era invece equidistante. Grand Prix Circuit prevedeva cinque livelli di difficoltà e tre modalità di gioco: pratica, evento singolo e campionato.

Il gameplay faceva salire l’utente direttamente sull’abitacolo dell’auto con comandi piuttosto reattivi. Bella la versione Amiga, ma non era male neppure quella C64. Graficamente gradevole anche se non faceva gridare al miracolo. Ottime, invece, le musiche.

Il campionato si concentrava su otto tracciati: Brasile, Monaco, Canada, Detroit, Gran Bretagna, Germania, Italia e Giappone. Forse l’unico limite di questo gioco.

FERRARI FORMULA ONE

Electronic Arts pubblicò nel 1988 Ferrari Formula One su Amiga e successivamente anche, nel 1990, su C64 con una buonissima conversione che non aveva nulla da invidiare alla controparte a 16 bit.

Un gioco su licenza, almeno per quanto riguarda la scuderia del Cavallino, ma del tutto particolare. Veniva, infatti, riprodotta la stagione del 1986 con tutti i circuiti (erano 16 all’epoca) del circus mondiale più il tracciato di casa di Fiorano dove si potevano fare prove. E c’era anche la galleria del vento per testare alcune soluzioni aereodinamiche.

Era un titolo decisamente più simulativo che si concentrava sull’organizzazione dei GP dalle prove alla messa a punto della monoposto con i settaggi da regolare su alettoni anteriori e posteriori, telaio, gomme, freni ed altro. Era piuttosto completo e per certi versi, purtroppo, non immediato. Soprattutto se si doveva scendere in pista. La guidabilità, che su Amiga era demandata al mouse, era veramente complicata e spesso e volentieri era davvero arduo anche rimanere dritti in rettilineo. Si poteva, però, optare per far fare tutto all’intelligenza artificiale che godeva di uno stile di guida più pulito ma non troppo aggressivo. Nondimeno c’era la rara possibilità di incappare incidenti che potevano anche causare infortuni e quindi pause al pilota.

La gestione della gara era fondamentale perché ogni operazione di sostituzione delle varie componentistiche costava tempo e si doveva fare attenzione a non superare quel limite perché poi si sarebbero saltate le sessioni. Ferrari Formula One ebbe, però, il merito di contemplare tutto di quella stagione 1986. Ed aveva molto fascino. La gestione era a dir poco interessante. Il regolamento dell’epoca prevedeva prove libere e qualificazioni il venerdì, stesso iter per il sabato, poi la domenica il warm up e, finalmente, la gara. Tante occasioni per studiare soluzioni tecniche utili a migliorare le prestazioni. Un gioco completo. E ci fa piacere ricordarlo in questo speciale sui retro racing games anche perché quando si vinceva era memorabile… proprio come la Ferrari nel 1986 che, ad onor di cronaca con Michele Alboreto e Stefan Johanson non centrò alcun successo. Solo alcune briciole.

IRONMAN IVAN STEWART’S SUPER OFF-ROAD

Uscito nel 1988 prima in sala per merito di Leland Corporation e poi su computer e console dell’epoca grazie a Virgin Games, Ironman Ivan Stewart’s Super Off-Road è un altro di quei titoli cult.

Si guidano dei pick-up su circuiti ricavati in arene con visuale isometrica dall’alto in gare frenetiche dove è possibile raccogliere nitroglicerina per dare accelerazioni decisive o bonus per altre componenti del mezzo. Non finisce certamente qui. Il ritmo è elevatissimo e la fisica rende il gameplay divertente. Ed è proprio questo che lo fa ricordare agli appassionati di retro racing games.

Da Wikipedia apprendiamo anche che:

“è forse il primo gioco arcade a presentare un adattamento della difficoltà alle prestazioni del giocatore stesso (caratteristica a volte chiamata Dynamic Play Adjustment); il veicolo grigio di Ironman, generalmente l’avversario più impegnativo, cambia velocità in relazione alla posizione del giocatore, in modo da mantenere sempre una certa sfida, caratteristica mantenuta almeno in alcune delle conversioni domestiche”.

F1 MANAGER

Simulmondo era nata un anno prima, nel 1988, e dopo aver pubblicato i primi titoli in quell’anno, nel 1989 realizzò F1 Manager. Un titolo atipico che all’epoca fece scalpore perché era interamente dedicato alla gestione di una scuderia di Formula 1. E probabilmente il primo videogioco italiano che ebbe un peso specifico anche all’estero.

Apprezzabile la versione C64. Ricca di tante opzioni dove – in base al budget – si doveva allestire un team di tecnici, meccanici ma anche scegliere i materiali con i quali realizzare la monoposto. Telaio, stile degli alettoni, cilindri del motore (da 8 a 12) e così via. Il giocatore poteva, dopo aver assemblato la vettura, immergersi nel Mondiale di F1 e poteva anche guidare personalmente nelle prove tentando di staccare il tempo migliore o, quantomeno, un crono decente in vista della gara.

La corsa era invece automatica ma il giocatore poteva intervenire sulle strategie di gara. Aumentare la velocità, scegliere quando fermarsi ai box. C’erano anche gli incidenti, più o meno gravi che erano caratterizzati da una sequenza particolare ed anche un po’ angosciante. Inoltre il gioco mostrava i vari sorpassi, i tentativi di sorpasso ed i ritiri. Grandi soddisfazioni quando con una macchina palesemente inferiore si arrivava a punti. Ed all’epoca, ci piace ricordarlo, la distribuzione dei punti era riservata ai primi sei e le monoposto in gara almeno 24. Un posto d’onore nei nostri ricordi di appassionati di retro racing games.

STUNT CAR RACER

Gli appassionati di certo non possono dimenticare Stunt Car Racer che uscì nel 1989 e che venne sviluppato da Geoff Crammond (l’autore tre anni dopo di Formula One Grand Prix). Si guida dei dragster in una visuale in prima persona e grafica 3d su circuiti simili a delle montagne russe con curve paraboliche e grandi salti. Le curve paraboliche sono pericolose perché si può cadere. A quel punto una gru rimette il mostro in pista. A patto che questo non sia troppo danneggiato. E questo si vede dalle crepe nel parabrezza.

Oltre alla pratica è possibile disputare un campionato con 8 piste suddivise in quattro categorie che propone tre avversari da battere e due tracciati di difficoltà crescente. Il primo in classifica sale di categoria ed accede ai tracciati successivi e l’ultimo viene retrocesso.

INDIANAPOLIS 500: THE SIMULATION

Gli anni ’80 si concludono con un capolavoro assoluto. Quello che potremmo definire il primo vero e proprio simulatore di corse vista la sua complessità e versatilità. Stiamo parlando di Indianapolis 500: The Simulation, titolo realizzato da Papyrus (esperti del settore) e distribuito da Electronic Arts per Amiga e Pc MS-DOS nel 1989.

Come si evince dal titolo questo gioco ci porta alla 500 miglia di Indianapolis che ricordiamo essere disputata dal 1911 ed essere la gara più longeva del mondo e su questo punto impossibile non ci tare la nostra Targa Florio. Ah, quanto sarebbe bello un videogioco dedicato alla corsa di Vincenzo Florio.

Tornando a noi, Indianapolis 500: The Simulation offre una visuale in prima persona facendoci immergere nell’abitacolo della monoposto con una grafica poligonale ancora acerba ma promettente. Troviamo anche la possibilità di salvare replay per un massimo di 20 secondi, cinque telecamere diverse più una in caso di incidente. La CPU teneva conto dei danni delle auto degli altri piloti ed era molto reattiva alle varie impostazioni selezionate.

Tre le vetture selezionabili, la Penske-Chevrolet, gialla, la Lola-Buick, rossa, e la March-Cosworth, blu. Tante le modalità: dalla Pratica che permetteva di prendere dimestichezza con l’auto e le “misure” dell’ovale di Indianapolis. Le qualificazioni per stabilire la griglia di partenza. Si potevano anche saltare ma si iniziava dall’ultimo posto, il 33°. E poi la gara vera e propria che a sua volta aveva quattro varianti. Si poteva correre per 10 giri con 25 miglia da percorrere, la propria vettura indistruttibile e bandiere gialle disattivate in caso di incidenti. Oppure 30 giri, 75 miglia che prevedeva l’indistruttibilità dell’auto. O ancora, e da qui in poi danni e tutta la simulazione era totale, 60 giri per 150 miglia e 200 giri per le canoniche 500 miglia. Una maratona di resistenza col joystick.

LOTUS – TRILOGIA

Il 1990 vede l’esordio del primo capitolo di quella che è diventata una trilogia di successo e di culto su Amiga anche se venne pubblicato per altre piattaforme a 16 ed 8 bit dell’epoca. Gremlin lanca Lotus Esprit Turbo Challange. Un titolo racing sportivo griffato Magnetic Fields con protagonista la vettura della nota casa britannica (la Lotus Esprit).

È un gioco con un gameplay sicuramente votato alla rapidità ed al divertimento. Propone sfide in uno contro uno in schermo condiviso. Ma lo split screen (lo schermo condiviso) è presente anche nella modalità in singolo visto che si vede l’altra vettura ferma ai box mentre si gioca. Questo riduce ampiamente l’area di schermo con gioco.

Il campionato, composto da 32 gare in 13 nazioni, Italia inclusa), è, per l’epoca, interessante e sicuramente una prova per gli appassionati. Peculiarità, in pista si parte dalla posizione speculare al risultato della gara precedente. Ad esempio se si chiude al primo posto, nella gara successiva si riparte dal ventesimo. Se si arriva secondi si inizia dal diciannovesimo e così via. Se si chiude oltre al decimo posto, ultimo per la conquista dei punti validi per il campionato, si concretizza il Game Over. Nondimeno, alcune gare impongono anche la sosta ai box per il rifornimento di benzina. Una meccanica simile a Pit Stop.

Splendide le musiche del gioco ma anche la scheda tecnica ed ovviamente il comparto tecnico con una grafica dettagliata, colorata e veloce. Senza particolari tentennamenti.

Nel 1991, Gremlin e Magnetic Field ci riprovano e pubblicano il sequel chiamato Lotus Turbo Challenge 2. E qui cambia molte cose a partire dai contenuti e dalla filosofia del gameplay. Alla Lotus Esprit rossa viene aggiunta la gialla Lotus Elan.

Cambia lo scenario: non più gare sportive a punti su circuiti chiusi ma una corsa alla “Outrun” ma senza bivi. In pratica si corre su un percorso aperto da un punto A ad un punto B con ambientazioni diverse, effetti climatici estremi e molto altro.

Tecnicamente, inoltre, è un bel vedere: finalmente c’è lo schermo pieno e si può godere al massimo anche dei potenziamenti grafici.

L’anno dopo, nel 1992, il dinamico duo (sempre Gremlin e Magnetic Field) fanno fede al vecchio adagio “non c’è due senza tre” e pubblicano Lotus: The Ultimate Challenge. Questo rappresenta una sorta di mix tra il primo ed il secondo capitolo. Sono presenti, infatti, entrambe le tipologie di gara: a punti su circuiti chiusi ed in diversi campionati ed a tappe e tempo in molti altri stage separati.

Potenziato ulteriormente il comparto grafico e sonoro ma con qualche calo di framerate nei momenti di “traffico”. C’è anche il terzo modello di Lotus che però era concettuale: Elan M100 S di colore verde. E c’è la grande novità, quella decisiva aggiungiamo noi, il carico da 11 se giocassimo a briscola. L’asso nella manica si chiama RECS ed era l’editor per realizzare i tracciati personalizzati.

Non era un editor tradizionale nel quale si sceglievano i pezzi ed i tratti di pista con relativi “contorni” da piazzare per disegnare manualmente il tracciato. Era una cosa ben diversa: l’editor proponeva tutti i parametri inseriti per dare ampia scelta al giocatore. Si poteva optare tra le diverse ambientazioni e poi si interveniva sulla lunghezza, sul fatto che fosse un circuito aperto o chiuso, e su varie percentuali. A partire da quella sulle curve presenti, sulla lunghezza dei rettilinei, sugli ostacoli presenti in pista e su molto altro.

Ogni parametro offriva un carattere alfanumerico che formava il codice, il nome di quel tracciato. All’epoca potevamo scrivere a penna il codice per poterlo poi ricreare nel gioco più volte.

Idea sicuramente interessante per realizzare in poco tempo milioni di tracciati. Anzi, tremila miliardi o giù di li.

F-1 GRAND PRIX

Era il 1991 e Video System pubblicò in sala giochi F-1 Grand Prix che aveva la particolarità di potere utilizzare – grazie all’acquisizione dei diritti – dei nomi reali di piloti, scuderie, sponsor e tracciati del Mondiale di quell’anno.

Curiosamente, nonostante fosse presente il roster completo, si potevano scegliere solo i piloti di Ferrari, McLaren, Williams, Benetton, Tyrrel e Larrousse ma in gara ci sono 26 monoposto. Il titolo è il sequel di Tail to Nose e ne sfrutta – migliorandone – la grafica ed il gameplay. Sono presenti tutti i e 16 circuiti di quel Mondiale.

Due le modalità: World Grand Prix e Free Run. La prima porta al Mondiale che però è suddiviso in 4 gare, o meglio, si sceglie tra un gruppo di quattro gran premi e si disputa il mondiale su quello. La seconda ci permette di correre su uno dei 16 tracciati a nostra scelta.

Ogni Gran Premio prevede una prima parte di qualificazione ed in base al risultato ci si posiziona nella griglia di partenza. Il Gran Premio può prevedere un numero che varia dai tre ai quattro giri e si ha un tempo limite per concludere ogni tornata. Il gioco è molto selettivo: si passa al gran premio successivo solo se si arriva sul podio.

Il gameplay era molto immediato e l’ottima visuale dall’alto, colorata e ben particolareggiata era molto fluida.

FORMULA ONE GRAND PRIX

Nel 1992 il mondo dei videogiochi casalinghi viene letteralmente stravolto da Formula One Grand Prix, ideato da Geoff Crammond (che tre anni prima aveva realizzato Stunt Car Racing) e distribuito da Microprose. A gennaio il gioco arrivò su Amiga e Pc.

Se, infatti, tre anni prima Indianapolis 500: The Simulator aveva fatto sognare con la sua grafica poligonale, grezza ma al tempo stesso spettacolare per l’epoca, Formula One Grand Prix potenziava decisamente quella realizzazione con una grafica poligonale ancora più dettagliata, una fedeltà dei 16 circuiti del Mondiale decisamente più marcata ed anche le monoposto erano diverse tra loro e riconoscibili. Tutti molto belli ma caratteristici quelli cittadini di Phoenix e di Montecarlo. Da notare anche la presenza di tutte e 18 le scuderie ed i 35 piloti (con nomi fittizi) che prendevano parte alla serie iridata del 1991.

Era una vera e propria simulazione e ricordiamo anche il libretto di istruzioni grande oltre 200 pagine. Un vero e proprio manuale. Per farvi intendere quanto fosse complesso e completo a livello simulativo.

Il gameplay era scalabile per consentire a tutti anche ai neofiti di giocare e divertirsi. I parametri permettevano di agire sul livello di difficoltà e realismo da macchine indistruttibili ai danni reali. Durata in giri del gran premio ed agire anche sull’intelligenza artificiale.

Spettacolare la sequenza di introduzione: il progetto ingegneristico su computer prendeva forma e la monoposto diventava reale con una colonna sonora d’accompagnamento esaltante che ricordava quella di The Chain che gli appassionati ricorderanno essere la sigla d’apertura dei collegamenti della BBC della Formula 1. Capolavoro assoluto da menzionare in questo nostro racconto sui retro racing games.

Il gioco ebbe tre seguiti ma solo su Pc, fino ad arrivare a Formula One Grand Prix 4 pubblicato per Pc nel 2002 edito da Infogrames e si basava sul Mondiale 2001.

JAGUAR XJ 2020

Sempre nel 1992 Core Design, che poi diventerebbe ancora più famosa grazie a Tomb Raider (ma che lo era già per Switchblade, Rick Dangerous Chuck Rock, Heimdall, Curse of Enchantia, Wolfchild), sforna uno dei titoli – a nostro avviso – migliori per Amiga: Jaguar XJ 220. Una vera e propria risposta ai tre Lotus di Gremlin. Il gioco condivideva col concorrente una sorta di campionato Gran Turismo con 32 gare in 12 Paesi del mondo. Ed era più simulativo.

Ma era nella gestione che sicuramente il titolo di Core Design era superiore. Al termine di ogni corsa, infatti, si doveva controllare la propria vettura, la Jaguar XJ 220 per l’appunto, e stare attenti che le varie componenti fossero integre. Parliamo di gomme, motore, carrozzeria a destra ed a sinistra, freni. Se una o più parti erano deteriorate al punto di essere segnate in rosso si dovevano per forza sostituire con un esborso di soldi. Ma sarebbe opportuno fare questa operazione anche con danni minimi perché questi influiscono sulle prestazioni in pista della vettura. Con conseguente peggioramento dei risultati e dei relativi premi in denaro indispensabili anche per gestire le trasferte. Si parte dalle tre gare in Inghilterra ma poi si è liberi di scegliere dove continuare attraverso cinque continenti. Terminare la stagione non era per niente facile.

Un momento della elegantissima sequenza introduttiva di Jaguar XJ220 su Amiga

Presente anche un editor ma tradizionale e quindi di vecchia concezione rispetto al RECS di Lotus III. Le piste si potevano salvare su disco vuoto e si sostituivano ai circuiti tradizionali che il gioco proponeva.

Ottimo il comparto grafico con tantissima varietà tra una pista e l’altra e tra una nazione e l’altra. Ottimi gli effetti meteo e soprattutto memorabile la pioggia di foglie in Canada.

La colonna sonora fa il resto: memorabile la linea di basso nel tema principale ma anche le varie canzoni selezionabili durante la gara. Una pedina fondamentale in questo speciale sui retro racing games.

VIRTUA RACING

Continuiamo la nostra selezione retro racing games con un altro titolo memorabile che venne pubblicato nel 1992. SEGA, memore delle esperienze passate anche con Super Monaco GP, realizzò un titolo avveniristico. Una sfida pensando al futuro pubblicando Virtua Racing in sala giochi.

Il gioco poteva vantare di una grafica poligonale decisamente avanzata per l’epoca e paragonabile al capolavoro Formula One Grand Prix uscito mesi prima sul mercato domestico. Inoltre era decisamente più veloce, almeno se si raffronta con la versione Amiga 500 di F1 GP anche perché sicuramente era la macchina meno dotata del lotto.

In sala giochi fu un vero successo con un cabinato che aveva la forma della monoposto, pedaliera e volante con cambio a farfalla (sullo sterzo in pratica) con possibilità anche di cambiare visuale con telecamere dall’alto, in terza persona o direttamente dal cockpit. Essendo un arcade il gameplay era piuttosto immediato ed ovviamente basato sul tempo. Ogni tracciato (ve ne erano tre) era suddiviso in segmenti e quindi si dovevano superare entro i limiti. Memorabile. Fedelissima la versione Switch uscita lo scorso anno. Uno dei retro racing games arcade più amati di sempre.

BONUS STAGE, GIOCHI MODERNI CHE GUARDANO AL PASSATO

Tanto hanno ispirato questi giochi che molti sviluppatori realizzano titoli moderni ispirandosi palesemente al passato, a questi ed altri gloriosi retro racing games. Vi riportiamo alcuni esempi recenti ed altri che devono ancora uscire.

HORIZON CHASE TURBO

Aquiris è uno studio brasiliano indipendente che a metà maggio del 2018 realizzò prima su Pc attraverso Steam e successivamente su console Horizon Chase Turbo. Un titolo splendido che rievoca il passato unendo tecniche moderne.

Il gioco rievoca Lotus Turbo Challenge, ma anche Jaguar XJ220 ed ad altri classici dell’epoca 16 bit. Per farlo si sono affidati ad una formula vincente fatta da una grafica in 3d ma in low poly, ossia a bassa densità di poligoni, ed a un gameplay senza fronzoli con tanta velocità e divertimento.

Tante le modalità, anche online ma quella regina il World Tour che permette di fare gare in circuiti di tutto il mondo e sbloccare via via vetture sempre più performanti. Si possono anche ottenere miglioramenti permanenti che però si applicano a tutte le auto possedute.

Gli autori hanno aggiunto anche altri contenuti tra cui anche un mini-tour mondiale dedicato ai neofiti. Un gioco immenso e stupendo che abbiamo sempre premiato in ogni recensione.

E tecnicamente sa il fatto suo: veloce, a tratti spettacolare con la grafica low poly che non manca di proporre anche effetti particellari di alto livello, e sempre scattante. Un gioco in stile arcade veramente bello. Potremmo descrivere Horizon Chase Turbo come un retro racing game moderno. Può sembrare un ossimoro ma è ugualmente bello.

SLIPSTREAM

Caso curioso, anche questo titolo è uscito nel 2018 ed è sempre stato realizzato in Brasile ma, questa volta, da uno sviluppatore solitario, Ansdor (al secolo Sandro Luiz de Paula).

Anche questo si ispira a Lotus ed a OutRun ed è anche una sorta di miscuglio tra i due classici. Stilisticamente impeccabile con una bella grafica in stile retro realizzata veramente bene, ha un gameplay in stile arcade ma più punitivo. Il livello di difficoltà è alto. Ma se amate la sfida ed i retro racing games non potete perdervi questa piccola chicca.

ULTIMATE RACING 2D

Sembra che nel maggio del 2018 si siano dati appuntamento molti sviluppatori indie di racing games. Perché anche Ultimate Racing 2D è uscito in quel mese. Applimazing ha portato su Steam un titolo divertente con visuale dall’alto in pixel art e con un gameplay estremamente immediato che si rifà a tutto lo scindibile conosciuto ed apprezzato trenta e vent’anni fa.

Tanti, almeno all’apparenza, i contenuti con oltre 45 circuiti di ogni tipo (anche ovali), 35 classi differenti (all’apparenza, però visto che sostanzialmente sono ripetizioni ma con vetture diverse e più potenti). Longevo e comunque anche divertente sebbene poi ci sia una certa ripetitività.

Abbiamo apprezzato molto l’aspetto grafica con una buona varietà. Ed è alto il feeling con i retro racing games di una volta pur senza, giusto però ammetterlo, senza quel quid in più che avremmo avuto 30 anni fa.

SUPER ARCADE RACING

Sviluppato dal team indie OutOfTheBit, Super Arcade Racing è un gioco che – come suggerisce il nome – offre un gameplay arcade che si ispira a titoli anni ’80 e ’90. Il gioco, uscito ad ottobre del 2019, ha anche una trama spicciola che ci porta a Londra nel marzo del 1990 e che ci vede vestire i panni di un giovane che deve salvare suo fratello minore rapito da una non meglio identificata organizzazione criminale.

Per farlo avrà l’aiuto dello zio meccanico ma dovrà superare tantissimi stage, avversari e boss in mini gare senza regole. Migliori sono i risultati, più alti sono i crediti che permettono di acquistare miglioramenti per la meccanica della vettura ed altri modelli. Si possono anche combinare tanti stili per avere vetture dallo stile sempre diverso.

Grafica in pixel art con tantissimi piccoli tocchi di classe aumentano il feeling con la sensazione retro. Ottimo il gameplay locale con schermo condiviso fino a quattro persone. Anche il titolo della software house siculo-britannica si presta bene a ricordare diversi retro racing games.

HOTSHOT RACING 

Curve Digital con Lucky Mountain Games e Sumo Digital ha annunciato a fine febbraio l’arrivo in estate su Pc, PS4, Xbox One e Switch di Hotshot Racing, un titolo che promette divertimento puro. E graficamente ricorda molto Virtua Racing, in ossequio ai retro racing games di una volta.

Lo stile del gampelay è dichiaratamente arcade con uno smodato utilizzo del drifting, una enfasi per la velocità ed una nitida grafica retrò. Hotshot Racing includerà 16 circuiti di gara che offriranno le svolte, le curve e i rettilinei del racing più adrenalinico. Gli appassionati affronteranno coste, giungle e il deserto di Las Vegas: ogni pista è creata con i colori più vividi e sterminati cieli blu.

Le modalità Sfida a Tempo e Grand Prix sono dedicate a chi vuole competere nei formati classici, mentre le modalità Guardie e Ladri e Corri o Esplodi offrono nuovi esilaranti modi di giocare. Ogni modalità di gioco disponibile sarà fruibile per single play, 4 giocatori a schermo condiviso e 8 giocatori online, mentre la Sfida a Tempo è solo per singoli. Le modalità per giocatore singolo schizzano a 60FPS, per offrire l’esperienza di corsa più veloce possibile.

CLASSIC SPORT DRIVING

Classic Sport Driving 3

Il mondo indie è sempre in crescita ed al tempo stesso in fermento. Rimane il terreno fertile per gli sviluppatori che, liberi da strette logiche di mercato, lavorano su progetti interessanti. Non necessariamente innovativi ma sicuramente di rilievo. A fine febbraio è stato annunciato Classic Sport Driving è un progetto indipendente che abbiamo trovato interessante e che – almeno per noi – è stato amore a prima vista fin da alcuni spezzoni di gameplay visti su Twitter e su Facebook.

Si tratta di un gioco di corse automobilistiche che, come alcuni altri titoli, guarda al passato offrendo una componente tecnica in 3d interessante ed in grado comunque di richiamare ai grandi classici del genere. Vediamo anche un interessante video con gameplay “notturno” che ci è stato gentilmente offerto dagli autori. In pieno stile retro racing games.

COMMENTO FINALE

È rara la presenza di un commento in uno speciale sui retro racing games ma era doveroso. Dopo oltre seimila parole e tanti titoli menzionati ci siamo resi conto che sicuramente ne abbiamo dimenticato qualcuno. Potremmo parlare di Hot Road, di Warm Up, e di tanti titoli Rally ma preferiamo chiudere qui. Abbiamo ricordato diversi giochi e pensiamo che in molti potranno ugualmente fare un bel viaggio nel tempo. Per gli altri ci sarà sicuramente un’altra occasione. Spero che questo sia comunque gradito. Grazie per averci letto.

L’articolo Retro racing games da ricordare, Speciale proviene da IlVideogioco.com.

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Slipstream, Recensione Pc

L’amore per i racing arcade in stile retro è una di quelle cariche che spingono molti sviluppatori indie a realizzare titoli in modo costante e con risultati, spesso e volentieri, molto soddisfacenti.

Diverse volte giochiamo a tributi che sono vere e proprie compensazioni a quello che avevamo giocato tanti anni addietro e che avremmo desiderato. Merito senza dubbio dell’hardware e di software ma anche dell’abilità e della passione degli sviluppatori (spesso e volentieri indie) che si cimentano in questa missione.

Tra i titoli più interessanti usciti in questo periodo piuttosto intenso, c’è sicuramente Slipstream. Sviluppato da Ansdor (al secolo Sandro Luiz de Paula), autore indipendente brasiliano, il gioco è un vero e proprio tributo ad OutRun, celebre titolo firmato da SEGA che imperversò in sala e nelle piattaforme casalinghe di tutto il mondo a metà anni ’80.

Slipstream è un vero e proprio omaggio al classico dei classici ed è stato pubblicato pochi giorni fa su Steam, lo scorso 21 maggio dopo qualche anno di lavorazione ed una campagna Kickstarter vittoriosa che permise all’autore di raccogliere quasi 7.000 dollari grazie ai quasi 500 appassionati che diedero il loro contributo. Sarà, dunque, in grado di regalare emozioni ed offrire un appeal tale da essere ricordato?

Leggete la nostra recensione per scoprirlo.

IMMAGINIAMO OUTRUN CON PIU’ CONTENUTI

Iniziamo col fatto che Slipstream propone una dinamica simile ad OutRun ma offre qualche cosa in più in termini di contenuto.

La modalità Arcade è quella regina e si comporta sostanzialmente come quella del gioco firmato SEGA. Al volante della propria vettura e si cerca di completare un percorso ad albero nel più breve tempo possibile. Per percorso ad albero intendiamo un percorso che propone dei bivi in modo da chiudere il proprio percorso personalizzato. Quindici gli stage di questa modalità per cinque traguardi finali.

C’è anche il gusto della sfida contro dei rivali che bisognerà precedere al traguardo dopo duelli a tutta velocità.

È possibile anche affrontare (fin da subito) i percorsi al contrario. Inoltre, possiamo scegliere tra cinque vetture che si differenziano per velocità massima, manovrabilità ed accelerazione.

Ma non finisce qui. Troviamo anche le modalità Quick Race e Grand Prix Nella prima si fa una corsa su uno dei 15 scenari standard messi a disposizione. Queste gare si svolgono in circuiti chiusi, negli stessi scenari della modalità Arcade ma senza i bivi in una sorta gran premio. Si può personalizzare il numero dei partenti e quello dei giri da percorrere nonché la propria posizione sulla griglia di partenza.



Di interesse è senza dubbio l’appendice Grand Prix che offre dei veri e propri campionati a punti con premi in denaro per i primi 8 classificati (come in Formula 1 dal 2003 al 2009 visto che il sistema di punteggio è lo stesso ed assegna 10 punti al primo, 8 al secondo, 6 al terzo 4 al quinto 3 al sesto, 2 al settimo ed uno all’ottavo).

I premi in denaro servono per potenziare le componenti della propria vettura. Tre le tipologie. Si potranno migliorare il motore (per la velocità massima) le marce (che influiranno sull’accelerazione) e le gomme che aggiorneranno la guidabilità.

Ogni campionato ha cinque gare.

ARRIVERANNO L’EDITOR DEI TRACCIATI E IL MULTIPLAYER LOCALE

A questo quadro contenutistico tutto sommato positivo considerando che si tratta di un racing arcade indie in chiaro stile retrò, c’è anche la volontà, riportata anche sulla pagina Steam, di aggiungere ulteriori contenuti come ad esempio un editor di tracciati e una modalità multiplayer fino a 4 giocatori in locale. Sarebbe probabilmente la ciliegina sulla torta.

FACILE DA IMPARARE MA UNA SFIDA ARDUA

Il gameplay di Slipstream è semplice da imparare ma difficile da padroneggiare. Il motivo è presto detto: le gare impongono un sapiente utilizzo della derapata ma non sempre questa si riesce a fare. Resta comunque imperativo saper giocare di grilletti (freno ed accelerazione) per poterla attivare ed affrontare le curve in modo più rapido. Inoltre, i contatti sia con le vetture che con lo scenario fanno rallentare moltissimo.

Diversamente si farà troppa strada nella modalità Arcade mentre in Grand Prix o Quick Race, il tutto diventa molto complicato. Anche perché nelle prime gare, trovare la zona punti diventa arduo e senza risultati sarà impossibile migliorare la vettura palesemente inferiore alle altre.

I comandi hanno il feeling del retro ma non sono immediatissimi. Bisogna prendere la giusta confidenza per saper agire col tempismo giusto. Un po’ come nei vecchi arcade. Una volta presa la mano e le giuste tempistiche, tutto diventa familiare. Questo crea il grado di sfida adatto a chi ama mettersi a dura prova. Anche se a tratti, queste prove sono realmente ostiche.

GRAFICA EVOCATIVA, OTTIME MUSICHE



La magia della pixel art è un fenomeno affascinante. L’effetto del vecchio applicato a giochi nuovi per ritrovare il sapore degli anni ’80 e ’90 può essere un’arma a doppio taglio, ma non in questo caso.

Uno dei tratti distintivi di Slipstream è senza dubbio la sua grafica che ricorda moltissimo (a volte troppo) quella del grande classico SEGA al quale si ispira. Alcuni stage sembrano “cugini” molto stretti. Ammiriamo 15 diversi scenari di ogni genere, da quello cittadino ai prati in fiore o, ancora, al tracciato su spiaggia (Resort Island) che ci riporta alla mente lo stage iniziale di OutRun. Non mancano anche gli effetti meteo come la pioggia, la neve, o gareggiare in diverse condizioni di luce. Tante piccole chicche sono presenti, avvalorate anche da una palette di colori vivacissima.

Il tutto grazie ad un motore di gioco pseudo 3d con grafica 2d in grado di accendere subito i ricordi. Vale la pena ricordare come l’engine di gioco sia custom, ossia realizzato dallo sviluppatore stesso fatto specificatamente per questo titolo. I vari scenari sono deliziosi e tra questi c’è pure quello ispirato al Partenone. Bene anche le animazioni dove spiccano gli impatti violenti con lo scenario che fanno letteralmente volare la nostra vettura mentre quelli con le altre macchine ci fanno andare in testacoda.

Generalmente, comunque, l’aspetto è un inno ad OutRun. Così come le musiche scritte da Stefan Moser. Davvero gradevoli.

Ci sono inoltre, i vari effetti grafici da applicare. Pixel, CRT, NTSC ed altri filtri per accentuare l’effetto retro.

COMMENTO FINALE

Slipstream è un titolo in versione “finale” ancora in evoluzione benché sia uscito su Steam qualche giorno fa. Sia chiaro, non stiamo parlando di un titolo in Early Access, non ci sogneremo mai di recensire un titolo non ancora completo, ma è chiaro che lo sviluppatore lo stia ulteriormente puntellando anche sul piano dei bug fix come è ormai consuetudine nel mercato di oggi.

Poco male perché quello che offre questa produzione indie è sufficiente a fare apprezzare tanti aspetti. Colpisce di Slipstream l’aspetto grafico con ambientazioni veramente deliziose e musiche molto azzeccate. Un mix che è un inno d’amore ad OutRun ma anche ed in generale ai racing di una decade che va dalla metà degli anni ’80 alla metà degli anni ’90. Fascino ed a tratti magico, il richiamo a questo periodo offerto dal gioco.

Stesso dicasi per il gameplay. Facile nella sua teoria, difficile metterlo sempre in pratica. La derapata è la chiave di tutto ma questa non è semplicissima padroneggiarla a dovere sempre. A questa sfida si aggiungono anche le modalità Quick Race e Grand Prix con quest’ultima che ci permette di fare campionati veri e propri su più corse con classifiche cumulative. È un po’ come se OutRun si unisse a Lotus Esprit Turbo Challenge collegando il pittoresco viaggio della modalità Arcade ai campionati agonistici. Un peccato per le difficoltà iniziali che oggettivamente potrebbero scoraggiare i meno avvezzi. Bisogna avere pazienza: i risultati arriveranno.

L’azione è sufficientemente veloce e le animazioni fanno il resto. La longevità presto potrebbe avere un’impennata grazie all’implementazione prevista dell’editor dei tracciati. È prevista anche una modalità multiplayer in locale fino a quattro giocatori con schermo condiviso.

Insomma, Slipstream va preso per quello che è, un racing arcade vecchia scuola e dal fortissimo sapore retro, frutto di una produzione a bassissimo costo ma dal grande dispendio di energie da parte dell’unico sviluppatore. Un inno d’amore di buon livello ma forse ancora troppo ostico per le nuove generazioni. Gli amanti delle sfide, invece, avranno pane per i loro denti. Se siete tra questi, e soprattutto se amate OutRun, Slipstream deve far parte della vostra collezione. Lo apprezzerete.

 

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